Progettare i ChatBot – le nuove sfide

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Progettare i ChatBot – le nuove sfide

Quando la tecnologia prova a simulare l’umano iniziano i dilemmi

Oggi gli assistenti virtuali sono i nuovi “siti web” del passato: tutti sanno cosa sono, tutti li vogliono, tutti dicono di saperli fare, tutte le persone del settore hanno una opinione a riguardo.
Dal momento che ho avuto modo di iniziare a progettare attività di questo tipo, condivido le prime osservazioni in merito alla sua usabilità che in questo caso è davvero il driver del progetto.

Regole base ed espedienti narrativi

Come per tutti gli strumenti tecnologici, anche per progettare un chatbot esistono delle prime linee guida condivise a livello generale:

  • dare una identità definita ed un nome al chatbot, in grado di comprendere il contesto dell’utente e che faccia prendere vita al brand
  • definire il suo carattere  permette di mantenere una coerenza di comunicazione durante tutte le conversazioni e lo umanizza
  • farlo agire con tempi “umani”: ad esempio non si può elargire una risposta immediata, lasciamo i puntini di avanzamento per far percepire che anche lui “pensa” e scrive

Gli espedienti narrativi si possono sintetizzare in questo modo:

  • dialogare sempre in prima persona;
  • essere sintetici;
  • nel dare soluzioni, preferire dei consigli guidati (con link ai vari step);
  • non dimenticare il carattere del personaggio;
  • non esagerare con l’umorismo;
  • comunicare con grazia i possibili errori (es. “Mi dispiace, ma non conosco la risposta”).

Tracciare l’obiettivo

Chiariti i punti sopra, bisogna partire con la progettazione e l’usabilità vera e propria: a me non sembrava complicato idealmente, invece l’attività è piuttosto difficile  perché non si basa solo su “espedienti” tecnici con ausilio di pulsanti e percorsi di navigazione, ma segue anche le derive del linguaggio umano.

Bisogna prevedere tutto il flusso della conversazione e ipotizzare gli  eventuali scostamenti: se al bot vengono richiesti argomenti non trattati, se il bot viene insultato (non è così raro), se si prova a farlo impazzire per puro divertimento.

Non si può nemmeno ipotizzare di prevedere tutte le casistiche, diversamente un progetto di questo tipo avrebbe dei costi stratosferici.

Quindi si inizia ad identificare chiaramente che cosa il bot ci deve realmente offrire, una volta chiariti i punti di arrivo dobbiamo cercare di accompagnare l’utente, tramite i pulsanti di azione, la conversazione ad arrivare alla fine del percorso.

Purtroppo su questo non esistono manuali o regole euristiche, esiste solo la pratica. E quando parlo di pratica, intendo quella vera e propria: il sistema va educato e solo utilizzandolo si può applicare l’apprendimento adattivo per gestire al meglio le conversazioni.

Ad esempio se un range di utenti scrive una determinata parola per indicare una richiesta specifica, ad esempio il nome di una procedura in maniera non convenzionale ma riconosciuta internamente, possiamo educare un chatbot ad interpretare quel termine e quindi rispondere in maniera adeguata. Tutto questo è frutto di molteplici conversazioni ed utilizzi ripetuti che solo l’utilizzo massivo del bot può garantire.

Ne consegue che i progetti di questa tipologia non hanno una data di scadenza legata al training, sicuramente sono “evolutivi” nelle performance se ben  gestiti, ma non saranno mai all’altezza di noi “umani”.
Ad oggi le aspettative che  il mercato ha proiettato su questi strumenti sono più elevate delle reali possibilità, non rimaniamo delusi se quindi il nostro robot non ci comprende, non siamo noi quelli “strani”?.

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Modern Workplace Consultant

 

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